La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, n. 2650/2016 (depositata il 2 ottobre 2024), offre un'importante disamina del concetto di esterovestizione e delle modalità con cui l'Amministrazione finanziaria può accertare la residenza fiscale di una società formalmente costituita all'estero. Il caso riguarda la ETRIMA A.D., società di diritto bulgaro, che l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto residente in Italia sulla base di una serie di elementi fattuali, con conseguente imposizione degli obblighi fiscali nazionali.
2. Il principio di diritto affermato dalla Corte
La Corte ha ribadito che l'esterovestizione si verifica quando una società è formalmente costituita in un Paese estero, ma il centro della sua direzione effettiva (place of effective management) è localizzato in Italia. L'accertamento della residenza fiscale avviene sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 73, comma 3, del TUIR, secondo cui una società si considera fiscalmente residente in Italia se per la maggior parte del periodo d’imposta possiede la sede legale in Italia, la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’attività economica in Italia.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la residenza fiscale della società fosse in Italia, valorizzando una serie di indizi convergenti, tra cui la direzione strategica effettiva esercitata dal socio italiano e la gestione finanziaria e contabile svolta in Italia.
3.1. La violazione del contraddittorio e la nullità del procedimento accertativo
Uno dei motivi principali sollevati dalla ricorrente era la presunta nullità dell’accertamento per violazione del contraddittorio, in quanto la verifica fiscale si era svolta senza la presenza di un legale rappresentante legittimato. Tuttavia, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo, sostenendo che il vizio non era stato specificamente sollevato nei gradi di merito e che non era stata fornita una prova di resistenza, ovvero la dimostrazione di un’effettiva lesione del diritto di difesa.
La società ha contestato la sussistenza della presunzione di esterovestizione, sostenendo che gli elementi raccolti dall’Agenzia non fossero idonei a dimostrare la sua effettiva direzione dall’Italia. La Cassazione ha respinto il motivo, evidenziando che le decisioni strategiche venivano prese in Italia, l’attività gestionale e amministrativa era condotta presso la sede di un’impresa italiana e la contabilità industriale e le principali transazioni finanziarie venivano gestite in Italia. Pertanto, la Corte ha confermato l’applicabilità della presunzione semplice di residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 73, comma 3, TUIR.
La Corte ha invece accolto il terzo motivo di ricorso, relativo alla metodologia utilizzata dall’Agenzia per la determinazione induttiva del reddito imponibile. Nello specifico, la Cassazione ha rilevato che la Commissione Tributaria Regionale aveva adottato un criterio di determinazione della redditività media del settore senza fornire una motivazione adeguata e dettagliata sulla scelta dei parametri di riferimento.
La pronuncia della Cassazione ha un impatto significativo per le imprese con assetti internazionali. Spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare, attraverso un’analisi fattuale, che la gestione effettiva della società è in Italia. Le società con sede all’estero devono essere in grado di dimostrare in modo concreto dove vengono prese le decisioni strategiche e dove viene svolta l’attività amministrativa. L’accertamento della residenza fiscale in Italia comporta l’obbligo di dichiarare e tassare tutti i redditi worldwide secondo il principio della tassazione su base mondiale.
La sentenza rappresenta un ulteriore tassello nella giurisprudenza in materia di esterovestizione e rafforza il ruolo della presunzione di residenza fiscale in Italia per le società formalmente costituite all’estero ma di fatto gestite dal territorio nazionale. Tuttavia, conferma anche l’esigenza di una motivazione adeguata nei procedimenti di accertamento, specialmente in merito ai criteri di determinazione del reddito.
Riguardo l'autore
Filippo Baglioni è un avvocato fiscalista con un’ampia esperienza in fiscalità nazionale e internazionale, gestione del rischio fiscale e compliance. Attualmente è Manager Tax presso BDO Italia e dottorando in Business & Law presso l’Università di Brescia e la WU Vienna University of Economics and Business. È autore di articoli e pubblicazioni su tematiche tributarie e docente in ambito fiscale.